

Estetica ed arte in Hegel
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Estetica ed arte in Hegel
Ora, solo in questa sua libertà la bella arte è arte vera, ed adempie primieramente al suo compito supremo solo quando si è posta nella sfera comune con la religione e la filosofia, ed è soltanto una specie e un modo di portare a coscienza e di esprimere il divino, i piú profondi interessi dell’uomo, le verità piú ampie dello spirito. G.W.F. Hegel, Estetica, Introduzione, I.2.
Come noto, il testo sull’Estetica (in tedesco: Vorlesungen über die Ästhetik) non costituisce un’opera organica scritta da Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), bensì una raccolta di appunti tratti dalle sue lezioni universitarie tenute ad Heidelberg nel 1818 e a Berlino negli anni 1820-21, 1823, 1826 e 1828-29. Quattro anni dopo la morte dell’autore (1835), il suo allievo ed editore Heinrich Gustav Hotho (1802-1873), avvalendosi degli appunti dello stesso Hegel e di quelli di altri studenti, compilò il testo che conosciamo. Hotho era chiaramente interessato all’argomento, essendo stato professore di Estetica e di Storia dell’Arte a Berlino (1829) e autorevole esponente della Destra hegeliana. L’estetica hegeliana è considerata da molti studiosi una delle più importanti teorie estetiche prodotte dopo Aristotele. In epoca moderna, ad esempio, Martin Heidegger la definì come «la riflessione più completa sull’essenza dell’arte che l’Occidente possiede» [1]. Le tesi di Hegel influenzarono oltre a Heidegger, solo per citarne alcuni, pensatori come Theodor Adorno, György Lukács, Jacques Derrida e Arthur Danto.
In questo breve saggio analizzeremo sinteticamente alcuni brani utili a comprendere il pensiero di Hegel su questo complesso argomento. Nell’Introduzione del testo sull’Estetica [2], Hegel sostiene che essa deve essere intesa come «filosofia dell’arte», avente per oggetto il «bello artistico», superiore, nella sua spiritualità, rispetto al «bello naturale» [3]. Per Hegel «tutto ciò che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale», ed essendo l’arte prodotto dello spirito e da esso legittimata in quanto «l’opera d’arte è tale solo in quanto, originata dallo spirito […] ha ricevuto il battesimo di spirituale e manifesta solo ciò che è formato secondo la risonanza dello spirito». Nella consueta terminologia hegeliana, lo spirito pensa sé stesso in una delle proprie forme, l’arte, e questo pensarsi dello spirito è proprio ciò che definisce la filosofia. E qui l’Estetica si fa scienza, essendo lo spirito, come visto, pensiero in divenire e l’arte manifestazione dello stesso. Hegel è ben consapevole che l’arte può svolgere varie funzioni: può insegnare, edificare, sollecitare, adornare e così via. La sua preoccupazione, tuttavia, è identificare la funzione propria e più distintiva dell’arte.
Si comprende immediatamente, pertanto, perché per Hegel l’arte non sia mera imitazione della natura, né tantomeno la produzione di sentimenti o una via verso la catarsi [4]. «L’arte è chiamata a rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile, è chiamata a manifestare quella opposizione conciliata, ed ha quindi in sé, in questa rivelazione e manifestazione, il suo scopo ultimo. Infatti, fini diversi, quali l’ammaestramento, la purificazione, il miglioramento, il guadagno, l’aspirazione a fama e onori non riguardano l’opera d’arte come tale, né ne determinano il concetto» [5]. In tal senso, l’arte è essenzialmente mediazione e conciliazione tra spirito e materia, dove «lo spirito […] produce da sé le opere della bella arte come il primo anello di conciliazione tra ciò che è semplicemente esterno, sensibile e transeunte, ed il puro pensiero, tra la natura e la realtà finita e l’infinita libertà del pensiero concettuale» [6].
Da ciò si evince che l’opera d’arte sia di conseguenza sensibile e spirituale: la percepiamo sensibile, ma allo stesso tempo essa ci rivela il suo contenuto spirituale. Come afferma Hegel, «l’opera d’arte non è solo per l’apprensione sensibile, come oggetto sensibile, ma la sua posizione è tale che, come sensibile, essa è al contempo essenzialmente per lo spirito, lo spirito ne deve essere investito e vi deve trovare una qualche soddisfazione» [7]. In altre parole, l’opera d’arte reca in sé un momento, teniamo a mente questa parola, della vita dello spirito: essa è «essenzialmente una domanda, un’apostrofe, rivolta a un cuore che vi risponde, un appello indirizzato all’animo e allo spirito».
In questi significativi passaggi ritroviamo i cardini della filosofia hegeliana espressi nei movimenti di manifestazione, mediazione e conciliazione, dove anche l’arte costituisce uno dei percorsi attraverso i quali lo spirito si libera dall’esteriorità della natura per giungere alla piena comprensione di sé. Questi sono i passaggi teleologici della logica dell’essere, dell’essenza e del concetto riassunti nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio [8], che attraverso le celebri scansioni ternarie dialettiche [9] passano dalla Filosofia della natura (nella triade meccanica, fisica e organica) ai gradi della Filosofia dello spirito (soggettivo e oggettivo), per giungere al Sapere assoluto, ossia alla piena e trasparente autocomprensione dello spirito. Ricordiamo che in questo cammino l’arte, come manifestazione sensibile della verità, precede quelle della religione e della filosofia [10].
L’arte, in quanto fondata su un “fare” e un “produrre” dell’uomo, pone lo spirito in opera, lo istituisce come ente finito e sensibile. Tuttavia, è fondamentale non isolare il momento artistico. Hegel richiama la religione, quale assolutezza dello spirito nell’interiorità della rappresentazione e del sentimento, religione che, come noto, precede nel sistema hegeliano la filosofia, ovvero la pura concettualità del pensiero. A tal proposito, Hegel afferma: «La natura e i suoi prodotti, si dice, sono opera di Dio, creati dalla sua bontà e saggezza, mentre la produzione artistica è solo opera dell’uomo, fatta dall’uom
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